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Le persone moleste

Albero secco. Foto in bianco e nero

Quando io leggo il Vangelo, fra i molti miracoli di Gesù, mi fermo ammirando alla guarigione dei lunatici. Altro che lebbrosi mondati, ciechi risanati, morti risuscitati! Questo è un miracolo!!! Perché, se tutte le sventure sono sventure, questa d’esser cattivi e di torturare chi vive seco noi è la più grande sventura. È lebbra che corrode l’anima, è cecità che accieca, è sordità che rende sordi alle voci del cuore, è morte al bene, è delitto verso sé stessi e verso il prossimo, è offesa a Dio.
Colui che è cattivo è peggio di una calamità naturale, dalla quale non ci si può sottrarre perché voluta da leggi eterne, ma che appunto perché voluta da leggi eterne è molto distanziata, nelle sue crisi, nel tempo. Ci si rassegna perciò alle sventure che vengono a noi dalla natura e dal corso inesorabile degli eventi dei popoli. Forse questo dipende dal fatto che, essendo cose decretate in eterno dall’Eterno e facenti parte della nostra esistenza di viventi sul globo, sono rese sopportabili da una grazia speciale di Dio. Ho visto risorgere la vita sui paesi devastati dai terremoti, dalle eruzioni vulcaniche, ho visto sulle rovine e sulle lave sbocciare nuovamente i fiori, gli uccelli intessere il loro nido, le donne cantare ninnando una cuna, l’uomo tornare cantando dal lavoro, la speranza e l’amore risorgere come fenice dalle ceneri del disastro.
   Ma la disperazione che un essere umano porta ad altri esseri simili a lui, che per legami di sangue o d’affetto non si possono, non si vogliono ribellare, è tremenda. Frutto di un cuore preda del demone dell’egoismo, della prepotenza, dell’orgoglio, dà una amarezza che accompagna come tossico per tutta la vita. Una amarezza e una vista speciale, che ci potenzia la facoltà di vedere dietro le bugiarde quinte delle convenienze sociali. Sterilisce tutto in cuore la pena che ci viene da un essere che vive per tormentare, preda come è del proprio io malato per non dire colpevole. Sul suo percorso muoiono le speranze, crollano i sogni, si polverizzano tutti i lavori di bene. Rullo compressore dell’umanità che lo circonda, un cuore non buono stende e stritola tutto nella polvere e nel fango: intelligenza, salute, affetti, e lede persino la fede nei cuori, che vengono a dubitare di Dio stesso che non interviene a por fine a tanto male.
   Guai a scoprire, e in giovane età, la potenza della malvagità umana. L’amara disperazione che provoca in noi la conoscenza di quanto può un nostro simile di male verso i suoi simili è tale che senza un aiuto superno non lo potremmo sopportare e fatalmente saremmo portati al disgusto totale di tutto e di tutti. Fortunatamente Iddio interviene e allora l’anima, pur restando ferita, non muore. Ma muore la salute, qualche volta l’intelletto, sempre la gioia.
(Maria Valtorta – Autobiografia – Capitolo 8: Il dolore di papà)

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